Ernesto M – Michela T. Perchè facciamo caritativa al Banco
Ernesto: Io vado in caritativa non solo per condividere un bisogno reale ed essenziale, quello del cibo, del pane quotidiano, ma anche per poter reimparare che in ogni istante della mia vita quotidiana dipendo da Gesù e tutto a Lui devo offrire, gioie e dolori. Dando una semplice borsa di viveri, ricevo spesso uno sguardo così grande su di me che altrove non trovo, ed allora scopro che “tutta la mia e la loro sofferenza hanno un senso”
Michela: Non nascondo che venire in caritativa è una vera fatica per me. Ultimamente vedo prevalere sopra ogni cosa la tristezza dei volti che incontro, delle circostanze cui sono resa partecipe, lo squallore degli appartamenti che visito, la in-educazione degli assistiti, i rapporti altrettanto in-educati tra noi “assistenti”. E torno a casa più sconcertata di quando sono entrata. Una volta la compagnia di un amico che veniva con me dagli assistiti mi sembrava d’aiuto per alleviare quel senso di tristezza che mi coglie quando mi avvicino a loro. Ora neanche una presenza amica che sta al mio fianco mi basta e prevale a volte la rabbia per una risposta sgarbata, a volte la ripugnanza nei confronti di un ambiente non del tutto sano e pulito. Certamente ogni volta quello che domina è l’inadeguatezza, la mia, l’incapacità di stare di fronte a quelle circostanze. Ma allora perché continuo a venire in caritativa? Forse perché so che quel luogo è fatto apposta per insegnarmi a vivere. Per imparare la stessa umiltà che serve a stare davanti ad un assistito o ad un mio collega di lavoro. Per imparare a domandare per lui allo stesso modo che per me. Per imparare ad accettare ciò che nella vita mi viene dato ed è diverso da me e d’istinto non lo vorrei. Non so se da queste poche righe si capisce cosa intendo, e non so se ti saranno utili per quello che mi hai chiesto. Però io domando che la mia felicità possa passare anche attraverso questo gesto.