LA LEGISLAZIONE EUROPEA SUL MOBBING
Concludiamo il panorama della legislazione europea sul mobbing nelle precedenti rubriche del 2015, con Regno Unito e Spagna.
Regno Unito
Nel Regno Unito, come in tutti gli altri paesi anglosassoni, per le condotte persecutorie sul lavoro più che di mobbing si parla normalmente di “bullying at work” dal verbo inglese “to bully” utilizzato non soltanto nel senso di “fare il prepotente” ma anche nella forma transitiva di “angariare” o “tiranneggiare” qualcuno. Il “bully” in sostanza non è dunque solo lo spaccone o il bulletto di paese ma la persona prepotente, crudele e perversa proprio come il “mobber”. Con il termine “bullyng” vengono indicate svariate tipologie di condotte aggressive e vessatorie come la discriminazione, i pregiudizi, le molestie morali, le violenze e le molestie sessuali. In particolare gli inglesi distinguono tra “corporate bullying”, che è quello esercitato dal datore di lavoro o dal superiore gerarchico nei confronti dei suoi dipendenti, dal “client bullying” che riguarda, invece, ipotesi di persecuzioni attuate dai destinatari della prestazione del lavoratore: insegnanti bullizzati dagli studenti o dai genitori, impiegati perseguitati dai propri clienti o viceversa. Si parla poi ancora di “serial bullying” quando le persecuzioni sono sistematicamente portate avanti dal soggetto agente nei confronti di tutti i colleghi di lavoro, siano essi subordinati, sovraordinati o pari grado, ed infine di “gang bullying” quando la persecuzione è esercitata da un gruppo di persone. Nel Regno Unito fu presentata una proposta di legge, “The Dignity at work Bill ”, nel dicembre 1997, che dispone l’adozione da parte del datore di lavoro di una politica delle risorse umane finalizzata a prevenire il fenomeno del “ bullying at work “ .
In attesa della sua approvazione, la legge stabilisce all’art. 1 che “ogni lavoratore ha diritto al rispetto della propria dignità sul lavoro”. Il datore di lavoro viene considerato responsabile di violazione di tale diritto “ogni qual volta il lavoratore venga esposto, durante il rapporto di lavoro, a molestia da parte dello stesso datore di lavoro o al bullying o ad ogni altro atto, omissione o condotta che causi allarme o timore nel lavoratore”. Sono da considerarsi comportamenti molesti, tra gli altri: “a) comportamenti che in più di un’occasione risultino essere offensivi, abusivi, maliziosi, insultanti o intimidatori; b) critiche ingiustificate in più di un’occasione; c) applicazione di sanzioni prive di giustificazione oggettiva; d) cambiamenti peggiorativi delle mansioni o delle responsabilità del lavoratore senza ragionevoli giustificazioni”. Il legislatore si preoccupa di precisare che tale lista non ha carattere esaustivo delle condotte potenzialmente vessatorie e ciò al fine di evitare di ingabbiare la tutela del mobbing in una definizione troppo angusta. Competente a conoscere delle violazioni alla dignità del lavoratore è l’industrial tribunal, il quale, se riconosce fondata l’azione, può emanare un ordine nel quale riconosce il diritto lamentato dal lavoratore ricorrente e può condannare il persecutore a risarcire i danni anche soltanto morali da questi subiti. Ai fini della determinazione del danno, il giudice dovrà tener conto della gravità, della frequenza e della persistenza della condotta vessatoria perpetrata ai danni del lavoratore. Il giudice può, inoltre, raccomandare al mobber di adottare determinati comportamenti miranti ad ovviare o ridurre le conseguenze negative delle sue precedenti azioni vessatorie.
Le principali normative vigenti che tuttavia offrono strumenti di tutela giuridica contro le molestie morali nei luoghi di lavoro sono: il “Protection from Harassment Act “ e il “Employment Relations Act “ del 1997“ The Health and Safety at work Act”del 1974 ( e successive modifiche) ed il “ Sex Discrimination Act” del 1975.
Tra queste, significativa è la disciplina introdotta dal “Protection from Harassment Act” del 1997, che rappresenta la principale legge britannica per la protezione contro le molestie morali ai danni di un soggetto ed è fondata sul principio generale, contenuto nell’art. 1, in base al quale: “una persona non deve porre in essere una condotta che possa risultare molesta nei confronti di un’altra persona e di cui egli conosca o debba conoscere il carattere molesto…”. Ne scaturisce il divieto per chiunque di assumere un comportamento molesto ai danni di un altro soggetto. Il presupposto fondamentale per la sanzionabilità del comportamento è la conoscenza o la ragionevole presunzione di conoscenza da parte del soggetto agente del fatto che la condotta risulti molesta per la vittima. Per stabilire la connotazione molesta o meno di una certa condotta il giudice dovrà riferirsi alle valutazioni che una persona di normale razionalità trovandosi nella medesima situazione della vittima potrebbe fare. Si consideri, però, che il comportamento può essere considerato molesto soltanto se composto da almeno due episodi di condotta molesta. La persona giudicata colpevole di molestia rischia fino a sei mesi di reclusione o una multa non eccedente il livello cinque della scala standard britannica. Alla condanna si aggiunge normalmente l’intimazione alla cessazione di ogni attività vessatoria ai danni della vittima con l’avvertimento che, in caso di ulteriori episodi di molestia, la condanna verrà aumentata. A prescindere dalla condanna, la Corte può comunque sottoporre l’imputato a misure di sicurezza a protezione della vittima che devono essere specificate in un apposito ordine e consistono generalmente in una serie di proibizioni dal fare qualcosa. La vittima potrà in ogni caso domandare, in sede civile, il risarcimento dei danni patiti, che in questo caso potranno comprendere, oltre il rimborso delle perdite economiche subite anche il ristoro dei danni morali causati dalla molestia. Si tratta, dunque, di una normativa molto importante ed efficace che tuttavia non è specificatamente volta a sanzionare comportamenti di mobbing nei luoghi di lavoro ma che può prestarsi anche a un tale utilizzo.
Nel caso di molestie a carattere sessuale o comportanti discriminazioni sessuali può essere utilizzato il “Sex Discrimination Act” del 1975.
Spagna
L’equivalente spagnolo del nostro concetto di mobbing è l’”acoso moral” o “acoso psichologico”, nell’ambito del quale, peraltro, dottrina e giurisprudenza spagnola disgiungono tra “bossing” , nel caso in cui le molestie morali vengano poste in essere dal datore di lavoro o dai suoi rappresentanti nei confronti dei lavoratori per motivi di riorganizzazione aziendale, riduzione del personale o col semplice obiettivo di allontanare i lavoratori scomodi ed indesiderati, e “mobbing” nel caso in cui le persecuzioni ai danni del lavoratore vengano esercitate da colleghi di lavoro (superiori gerarchici o pari grado o anche inferiori). In realtà i due termini acoso moral e mobbing vengono anche comunemente usati come sinonimi soprattutto negli articoli dei massmedia. L’ordinamento spagnolo, al pari di quello italiano e come si è visto di molti altri paesi europei, non ha ancora approntato una normativa ad hoc in questa materia. Ciò non di meno la questione è ampiamente dibattuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza spagnola e, molto presto, sarà discussa anche a livello legislativo visto che recentemente, in data 23 novembre 2001, sono state presentate al “Congreso de los deputatos”, da parte del Gruppo parlamentare socialista, due nuove proposte di legge miranti a normare l’acoso moral.
La prima, proposicion de ley num. 122/000157 intitolata “derecho a no sufrir acoso moral en el trabajo”, si propone di modificare “El Estatuto de los Trabajadores” , la “Ley de Procedimiento Laboral”, la “Ley de Prevencion de Riesgos Laborales”, la “Ley de Infracciones Y Sanciones en el Orden Social”, la “Ley de Funcionario Civiles del Estado” e la “Ley 30/1984 de Medidas de Reforma de la Funcion Publica” al fine di:
1.garantire al lavoratore il diritto alla propria integrità fisica e morale e conseguentemente il diritto a non essere esposto a pratiche di mobbing nei luoghi di lavoro;
2.considerare l’acoso moral un rischio al pari di qualsiasi altro rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore;
3.obbligare il datore di lavoro ad adottare tutte le misure, organizzative e/o repressive, che si rendano necessarie al fine di prevenire e o reprimere l’acoso moral nei luoghi di lavoro soggetti al suo controllo;
4.prevedere l’inversione dell’onere della prova a favore della vittima di mobbing, la quale, pertanto, sarà tenuta soltanto a fornire indizi dell’esistenza dell’acoso moral mentre rimarrà a carico del convenuto l’onere di dimostrare la legittimità dei comportamenti adottati e, nel caso del datore di lavoro, l’adeguatezza delle misure di prevenzione e/o repressione.
In Spagna, strumenti di tutela giuridica contro il mobbing, si ricavano dall’Estatuto de los Trabajadores (ET, “texto refundido” dal Real Decreto legislativo 1/1995 ), in particolare: l’art. 4.2.d (diritto alla integrità fisica) e il 4.2.e (rispetto della intimità e dignità compresa la protezione da offese verbali o fisiche di natura sessuale)
L’art. 14 della Ley 31/1995 de Prevenciòn des Riesgos Laborales (LPRL), stabilisce il diritto dei lavoratori a una protezione efficace in materia di sicurezza e salute sul lavoro.
La definizione di acoso moral accolta nel progetto di legge: “Si intende per acoso moral ogni condotta abusiva o di violenza psicologica che si realizza in forma sistematica nei confronti di una persona nell’ambito lavorativo, che si manifesta in particolare attraverso reiterati comportamenti, parole o atti lesivi della dignità e integrità psichica del lavoratore mettendo in pericolo o degradando le sue condizioni di lavoro” rispecchia sostanzialmente le definizioni, di derivazione medico-legale, già utilizzate in altri ordinamenti europei.
Il secondo progetto di legge presentato, sempre dal Gruppo parlamentare socialista, il n. 122/000158 intitolato “Organica por la que se incluye un articulo 314 bis en el Codigo Penal tipiticando el acoso moral en el trabajo”, è, invece, finalizzato a introdurre nell’ordinamento penale spagnolo una nuova figura di reato sull’acoso moral limitatamente alle ipotesi in cui il soggetto responsabile di acoso moral, e già per questo condannato con sanzione amministrativa o provvedimento giudiziario, perseveri nel comportamento vessatorio o non adotti le misure necessarie per eliminarlo. La pena è aumentata quando il comportamento venga commesso con abuso di relazione di superiorità.
Dottrina e giurisprudenza spagnole, incalzate dalla crescente domanda di tutela proveniente dagli ambienti lavorativi hanno cercato di individuare forme alternative di tutela giuridica contro il mobbing traendole da normative di portata generale come lo Statuto dei Lavoratori (Estatuto de los Trabajores – ET), nella legge di prevenzione dei rischi lavorativi (Ley de Prevenciòn des Riesgos Laborales – LPRL), nel codice penale (art. 316 del Codigo Pènal) e nelle leggi sulla responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.
Per quanto riguarda lo Statuto dei lavoratori, sono state individuate nel suo ambito alcune norme che si prestano bene ad essere utilizzate in caso di acoso moral:
- artt. 4.2.d e 4.2.e che stabiliscono rispettivamente il diritto del lavoratore “alla sua integrità fisica” e “al rispetto della sua intimità e dignità compresa la protezione contro offese verbali o fisiche di natura sessuale”;
- art. 4.2.a che garantisce al lavoratore il diritto all’occupazione effettiva;
- art. 20.3: che limita il potere di vigilanza e controllo del datore di lavoro in ordine all’esercizio dei compiti affidati ai lavoratori;
- artt. 39.3 e 41 che limitano il potere datoriale in ordine alla mobilità del lavoratore e alla modifica sostanziale delle sue condizioni di lavoro.
In caso di violazione di tali norme il lavoratore può scegliere tra due strade: 1) rivolgersi all’Ispettorato del lavoro, il quale dopo aver verificato i fatti potrà avviare procedure di conciliazione tra le parti o, nel caso in cui ciò non sia possibile per il rifiuto manifestato da una o dall’altra delle parti, avviare il procedimento amministrativo sanzionatorio, ai sensi dell’art. 8.11 della “Ley de Infracciones y Sanciones en el Orden Social”, che può comportare anche l’inflizione di una multa compresa tra le 500.001 pesetas e i 15.000.000 di pesetas; 2) avviare un procedimento davanti alla “jurisdiccion social” per l’estinzione del rapporto contrattuale ed ottenere la relativa indennità ed il risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell’acoso moral patito.
L’acoso moral può, però, molto più spesso costituire violazione della Legge sulla prevenzione dei rischi lavorativi (LPRL) che contiene norme volte alla prevenzione della sicurezza e salute dei lavoratori e stabilisce il principio generale per cui il datore di lavoro è tenuto ad adottare tutte le misure che si rendano necessarie per la prevenzione dei rischi di lavoro (art. 2 LPRL). Per rischio derivante dal lavoro si deve intendere, ai sensi dell’art. 4.2 LPRL, “la possibilità che un lavoratore soffra un determinato danno in conseguenza del lavoro” e per “danno derivante dal lavoro”, “tutte le infermità, patologie o lesioni sofferte a causa o in occasione del lavoro” comprese a pieno titolo le lesioni di natura psicologiche. Secondo l’attuale interpretazione della LPRL, tra le obbligazioni di prevenzione in capo al datore di lavoro rientra anche quella di adottare tutte le misure idonee a prevenire l’acoso moral qualora questo possa determinare un danno alla salute per il lavoratore. Pertanto il datore di lavoro potrà essere ritenuto responsabile per violazione delle norme di prevenzione previste dalla LPRL sia nel caso in cui si renda partecipe di pratiche di “bossing” ai danni dei lavoratori, sia nel caso in cui permetta lo svilupparsi dell’acoso moral nei propri stabilimenti, uffici, negozi o altri luoghi di lavoro non adottando le misure, organizzative e sanzionatorie, necessarie a prevenirlo. Anche in questi casi il lavoratore potrà domandare tutela in via alternativa all’Ispettorato del lavoro o alla giurisdizione ordinaria secondo le procedure vigenti a proposito della violazione delle norme dello Statuto dei lavoratori. Per quanto concerne la tutela penale, la dottrina spagnola è ancora molto incerta in ordine all’eventualità di considerare l’acoso moral come condotta delittuosa, ai sensi dell’art. 316 del codice penale, che consiste nel non “procurare i mezzi necessari affinché il lavoratore possa eseguire la sua attività in sicurezza e nel rispetto delle norme igieniche, così da esporlo a pericoli gravi per la sua vita ed integrità fisica”. Si tratta, infatti, di una norma soggetta ad un’interpretazione restrittiva che, fino ad ora, è stata sempre utilizzata soltanto con riferimento ad un concetto tradizionale e classico di sicurezza e salute del lavoro che non comprende le ipotesi di molestia morali tipiche dell’acoso moral. Trattandosi poi di norma penale richiede l’accertamento del dolo in capo al soggetto agente.