MOBBING, ANATOMIA DI UN FENOMENO SOTTOVALUTATO E NUOVO UMANESIMO DEL LAVORO
In Italia i dati nazionali sul mobbing sono carenti, incerti e poco aggiornati, nonostante il problema sia diffuso. E anche la giurisprudenza latita. Eppure le vessazioni sul lavoro sono molto comuni e spesso non denunciate. Questo perché non esiste un osservatorio nazionale governativo che monitori la situazione con regolarità. Il fenomeno è così tracciato grazie alle denunce raccolte di volta in volta dai singoli sportelli sindacali o dagli avvocati che se ne occupano. Per lo psichiatra Antonio Vento invertire la tendenza è possibile ma solo con un nuovo umanesimo del lavoro. L’anno scorso gli sportelli anti-mobbing della Uil hanno ricevuto 1000 denunce in tutta Italia. Il 36% di queste persone aveva contratti nel commercio e nel turismo; il 10% proveniva dalla funzione pubblica (enti locali, ospedali, e così via); il 13% dai ministeri; l’8% dai trasporti; il 5% da scuola, chimici, meccanici. Il 40% erano uomini, il 57% erano donne e il 3% transessuali. Il 5% di chi si è rivolto alla Uil non era iscritto al sindacato. Dati parziali che non fotografano la situazione reale del Paese, perché riguardano le segnalazioni ricevute da un singolo sindacato. L’ultima ricerca nazionale, confermano dalla Uil, risale al 2001/2002. Dove il governo latita, interviene l’iniziativa privata a cercare di colmare le lacune. Ed è così che è nato l’Osservatorio nazionale mobbing, fondato da Antonio Vento, psichiatra, criminologo ed ex docente alla Sapienza. «Ancora oggi il nostro Osservatorio continua a registrare casi crescenti, in media 10 al mese, soprattutto a carico delle donne», spiega l’esperto a Lettera43. «Queste ultime sono infatti più vulnerabili per via della maternità e dell’esigua protezione della famiglia nella società». Ecco una serie di domande e le risposte del Dr. Vento:
D. In Italia mancano dati nazionali recenti sul mobbing. Com’è possibile che il governo non abbia ancora creato un osservatorio nazionale sul fenomeno per comprenderne la reale portata in Italia?
- I dati nazionali sul mobbing sono carenti nel presente, come lo sono sempre stati, perché questo fenomeno è stato considerato solo sul piano psicologico, dopo la definizione di Leymann. La psicologia può offrire dati astratti, non concreti, perché affronta i problemi non sul piano della quantità, compito della sociologia e dell’economia del lavoro, ma solo sul piano della qualità. Ciò è facilitato dalla mancanza di una legge specifica e dalla solita inadeguatezza delle forze sociali.
- L’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (Ispesl), che aveva aperto un centro di ascolto e monitoraggio, ha chiuso e le sue funzioni sono state assorbite dall’Inail.
R.L’Ispesl, l’Inail, come tutte le altre istituzioni che studiano e programmano il mondo del lavoro, compresi i sindacati che hanno accettato la manipolazione dello Statuto dei lavoratori e dell’articolo 18, hanno tutto l’interesse a mantenere un atteggiamento approssimativo. Sono infatti solo organi politici e non strumenti di protezione civile e di lotta alla disoccupazione. Protezione e lotta che sarebbero necessarie soprattutto oggi, con il diffondersi del lavoro in nero e con lo sfruttamento della manodopera. - Il mobbing non compare nemmeno tra le specifiche competenze delle consigliere di Parità, che svolgono attività anti-discriminatoria. Ma com’è possibile che presso il ministero del Lavoro non esista un organo consultivo?
R.Le consigliere di Parità hanno fondato il loro ruolo sul concetto di discriminazione, senza rendersi conto che discriminare è facile dove è carente la base di concreto rispetto della dignità umana. Le società hanno abbandonato l’ideale umanistico per assumere, come fondamentale, il principio della parità di potere, che si può facilmente strumentalizzare. - Non crede che questi dati dovrebbero essere consultabili?
R.I dati sul mobbing non possono essere open, né pubblicati sul sito governativo, se le premesse sono quelle appena accennate. Non si può pretendere un comportamento democratico dove la democrazia è solo formalismo. Dobbiamo innanzitutto rivendicare una legge mobbing che funzioni anche sul piano penale come deterrente. L’Osservatorio nazionale mobbing, già da diversi anni, ha tentato, ma senza successo, di presentare tramite i partiti un nostro disegno di legge anti-mobbing. - In Italia si fa un uso massiccio dello stage come forma di lavoro non retribuita. Esiste un mobbing sommerso nella fase pre-assunzione?
R. Lo stagismo e il turn over sono strumenti di garanzia per chi governa, non per i lavoratori. Il fantasma della crisi genera questi mostri, e chissà quanti ancora. In Italia, come pure in Europa, i casi di mobbing denunciati, specialmente tra le donne che lavorano, sono solo la punta di un iceberg.
D. In che senso?
R.Basti pensare non solo al mobbing aziendale, ma anche a quello sociale, come il lavoro minorile, le violenze in famiglia o a scuola, la prostituzione e così via, per rendersi conto della portata di tale fenomeno. Il nostro Osservatorio è stato il primo in Italia e in Europa a definire il concetto di mobbing sociale.
Servono modelli più umani di cultura e di economia, che consentano ai lavoratori di rimanere uomini e di sentirsi parte integrante del lavoro, non soggetti esposti al mobbing
- D. Per un dipendente affrontare una causa di mobbing è difficile: il reato non è previsto in maniera specifica dai codici, anche se negli ultimi anni la Cassazione è più volte intervenuta in favore del lavoratore oppresso.
Dove la politica è debole anche la giustizia sociale e le leggi diventano fragili, mancando un principio ideale che le sorregga. La Corte costituzionale, che ancora ha l’idea di giustizia, anche se relativa ai tempi, non può chiudere gli occhi davanti a casi eclatanti di mobbing, come il demansionamento e il licenziamento con umiliazione detto straining. Ma resta sul livello dell’interpretazione, non essendoci una legge precisa. - Il mobbing, inoltre, è difficile da provare. Quali sono le difficoltà che si incontrano in fase di giudizio?
R.La difficoltà che si incontra in giurisprudenza, oltre alla mancanza di una legge riferita al mobbing, è che il fenomeno viene ancora considerato un problema da affrontare come semplice causa di lavoro, dove lo stress, danni biologici e umiliazioni non c’entrano se non sul piano del codice civile, dove invece rientrano nella giurisprudenza penale. L’ostacolo maggiore comunque è fare accettare ad alcuni giudici del lavoro il nesso di causalità. - Quali sarebbero i benefici del controllo e della lotta al fenomeno per lavoratori e aziende?
R.I benefici di un controllo sul mobbing, per raggiungere l’estirpazione di questo fenomeno che ultimamente colpisce in particolare le donne, soprattutto quelle in stato di maternità e con figli adolescenti, testimoniano la necessità di un intervento serio in materia. Anche perché i vantaggi si noterebbero pure nel mondo del lavoro: l’armonia tra l’io e l’ambiente è l’elemento fondamentale per migliorare e creare lavoro. - Quale è la situazione nell’Ue?
R. I più avanzati Paesi sul piano della difesa dei diritti sociali e del lavoro sono quelli del Nord Europa. - Cosa dovremmo mutuare da questi Paesi per tutelare il lavoratore?
R.Per garantire il lavoro non servono strategie; è importante creare lavoro umano, come avviene nei Paesi nordici, aiutando i giovani a pensare, a fare ricerca e a realizzare nuovo lavoro adeguato ai nuovi tempi sociali. Purtroppo presto dovremo fare i conti con lo sviluppo tecnologico, che contrae di più l’occupazione generica a favore di quella specializzata. - Servirebbe una rivoluzione culturale, quindi.
R.Come dicevo prima, non servono solo modelli nel campo del lavoro: servono invece modelli più umani di cultura e di economia, che consentano ai lavoratori di rimanere uomini e di sentirsi parte integrante del lavoro, non soggetti esposti al mobbing.Fonte: Lettera 43 – articolo di Maria Elena Tanca – 26/08/2017