RIFIUTO DI PRESTAZIONE E INADEMPIMENTO DATORIALE CIRCA ESIGENZE VITALI
Il lavoratore adibito a mansioni che ritenga incompatibili con il proprio stato di salute può chiedere la destinazione a compiti più adeguati, ma non, senza avallo giudiziario, rifiutare l’esecuzione della prestazione, potendo invocare l’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.) solo se l’inadempimento del datore di lavoro sia totale ovvero sia talmente grave da pregiudicare irrimediabilmente le esigenze vitali del lavoratore (Corte di Cassazione, ordinanza 25 settembre 2018, n. 22677).
La Corte di appello territoriale, riformando la sentenza del Tribunale di prime cure, aveva respinto il reclamo proposto da un lavoratore ed accertato la legittimità del licenziamento intimatogli dal suo ex datore di lavoro; ciò, in relazione alla contestata insubordinazione per essersi il lavoratore rifiutato di eseguire le prestazioni lavorative a lui affidate, mansioni già rifiutate precedentemente con irrogazione di sei sanzioni conservative (dapprima una multa e poi sospensioni dal servizio e dalla retribuzione). La Corte territoriale nel ritenere ingiustificato il rifiuto aveva sottolineato che il lavoratore, con orario settimanale pari a venti ore, era stata giudicato inidoneo allo svolgimento delle mansioni di addetto al videoterminale che presuppongono un impiego per più di venti ore settimanali, in quanto affetto da patologia oftalmica. Era però emerso che nello svolgimento delle mansioni assegnategli l’uso del video terminale era limitato alla fase di acquisizione dei nominativi dei clienti, che poi dovevano essere contattati telefonicamente, ed a quella di chiusura di archiviazione delle schede corrispondenti. Quanto alla denunciata assegnazione a mansioni inferiori, poi, la Corte di merito l’aveva esclusa ponendo in rilievo che all’addetto al call center, profilo di inquadramento del lavoratore, erano assegnati compiti di supporto commerciale e informazione generale della clientela da svolgere mediante canali telefonici e in base a procedure standardizzate involgenti anche compiti di back office. Il rifiuto da parte del lavoratore, dunque, di eseguire la prestazione non era motivato dalla violazione degli obblighi gravanti sul datore di lavoro di sorveglianza sanitaria, ma piuttosto dal ritenuto carattere dequalificante delle prestazioni assegnate e dalla indisponibilità a qualsiasi impiego al video terminale. Ha infine concluso che non era giustificato il rifiuto dell’adempimento e che la condotta tenuta dalla lavoratrice andava qualificata come insubordinazione e che, anche in considerazione della sua reiterazione in un ristretto ambito temporale e dopo la vana adozione di sanzioni conservative, si giustificava per l’effetto l’irrogazione del licenziamento.
Avverso la sentenza ricorre così in Cassazione il lavoratore, sostenendo che la Corte di merito, ai fini della valutazione dell’inadempimento contestato, avrebbe erroneamente ritenuto irrilevante che il rifiuto della prestazione non aveva tratto origine da violazioni degli obblighi di sorveglianza sanitaria. Al contrario, il datore di lavoro si era reso inadempiente a tali obblighi e, in particolare, all’atto della modifica delle mansioni non era stato disposto l’invio alle visite mediche di controllo per verificare l’idoneità del lavoratore al loro svolgimento.
Per la Suprema Corte il ricorso è infondato. Difatti, il lavoratore adibito a mansioni che ritenga incompatibili con il proprio stato di salute può chiedere la destinazione a compiti più adeguati, ma non, senza avallo giudiziario, rifiutare l’esecuzione della prestazione, potendo invocare l’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.) solo se l’inadempimento del datore di lavoro sia totale ovvero sia talmente grave da pregiudicare irrimediabilmente le esigenze vitali del lavoratore. Dunque, un utilizzo discontinuo ed intermittente del videoterminale non incompatibile con la patologia oftalmica dalla quale il lavoratore era affetto e peraltro costituente parte essenziale, anche se non prevalente, delle mansioni svolte, consentiva di ritenere il rifiuto di rendere la prestazione come una insubordinazione che giustificava la risoluzione del rapporto.
Fonte: Teleconsul – 1 ottobre 2018