CONVEGNO CIPES “SALUTE E LAVORO: CRISI E PRECARIETA”
Crisi del lavoro e precarietà, due tendenze che stanno sempre più incidendo sulla diminuzione di salute: è emerso che, fra i vari fattori che influiscono pesantemente sulla perdita di salute, ci sono anche la diffusa precarietà e la crisi lavorativa. Angelo D’Errico, epidemiologo dell’ASL TO3, ha evidenziato, nel suo intervento, le varie diseguaglianze nel campo della salute dovute alla stratificazione sociale (tipo di istruzione, reddito, classe occupazionale) e le sue conseguenze (mortalità, morbosità, incidenza di malattie, aumento della suscettibilità e del rischio). Dagli studi di settore si nota che la prevalenza di problemi collegati alla salute si riscontra fra le classi più svantaggiate. In tutti i Paesi Europei, ad esempio, la speranza di vita varia di circa 7 anni per i ceti più poveri. Altro fattore da considerare è la salute percepita (predittore di mortalità): gli appartenenti alle classi più svantaggiate, più frequentemente, si descrivono con una cattiva salute, mentre i più benestanti e con maggiore livello culturale si considerano in buona salute. Lo stato di salute percepito e la media dei giorni in salute o con limitate attività sono correlati all’età, al sesso, al livello di istruzione, alla presenza di malattie. La percezione di buona salute diminuisce con l’aumentare dell’età, è minore tra le donne, tra i meno istruiti e tra coloro che sono affetti da malattie. Quali sono i fattori che incidono sulla mortalità? Fumo, sovrappeso (problema ormai frequente in Italia), carenza di attività fisica, diabete mellito (in aumento nel nostro Paese), carenza di frutta e verdura nell’ordinaria alimentazione. Le disuguaglianze della salute dipendono, come già evidenziato, dalla posizione sociale (materiale, prestigio, relazioni sociali) e dai fattori di rischio (psicosociali, comportamentali, ambientali, inerenti l’accessibilità ai servizi) ed incidono pertanto sulla mortalità, la morbilità, i traumi, le disabilità. Le classi più basse sono, nel mondo del lavoro, le più esposte ad agenti chimici e fisici, a fattori economici, a fattori psicosociali (insicurezza, stress, basso controllo del lavoro). Sul job strain (stress da lavoro) influiscono anche la poca autonomia e la ripetitività delle azioni. Il basso controllo sul lavoro sembra sia anche in relazione alle malattie cardiovascolari e alle patologie psichiatriche, mentre i disturbi muscoloscheletrici derivano prioritariamente dal lavoro fisico, le cattive posture, i movimenti ripetitivi, i movimenti di carichi. Anche i casi di tumore risultano maggiori nelle classi sociali disagiate. In conclusione i fattori economici, psicosociali, ambientali e le condizioni di lavoro, provocano differenze di salute nella società. Il sociologo Roberto Di Monaco ha invece illustrato una ricerca effettuata nel 2013 su un campione di lavoratori, fra i 30 e i 45 anni, che avevano subito un licenziamento inaspettato. Lo studio ha cercato di comprendere quali siano le strategie proattive e reattive delle persone che devono affrontare una tale perdita. Il licenziamento, si sa, porta a una carenza di risorse economiche, a una minore capacità di reazione, alla perdita di capacità lavorative, a minori relazioni sociali, a una perdita di ruolo, a una crisi familiare. Il 70% dei soggetti del campione non riusciva ad arrivare a fine mese, pochissimi erano coperti da un basso sussidio, a volte non lo avevano neppure richiesto o non lo avevano ottenuto. Le persone licenziate stavano peggio dei disoccupati da lungo tempo, dichiaravano persino minori aspettative per il futuro. Il morale bassissimo e la mancanza di energia influivano anche sulla salute mentale. Ne è derivato un vero e proprio isolamento sociale, con mancanza di relazioni anche con gli ex compagni di lavoro, occupati e no. Le politiche a disposizione consistevano in corsi di formazione inutili come inutili si sono dimostrati gli altri ammortizzatori sociali. L’impossibilità di una progettazione futura, l’isolamento, le umiliazioni e il passato che incombeva con i suoi ricordi hanno così provocato un logoramento della salute. E’ poi intervenuto il Direttore dello SPRESAL di Biella Fabrizio Ferraris che ha sottolineato come attualmente manchi la formazione e la sorveglianza sanitaria di inizio rapporto. Mancano i report di varie regioni. Rispetto al 2016, nel settore delle costruzioni è aumentato il lavoro autonomo e questo ha provocato maggiori rischi e minori segnalazioni. Il sistema INFOR.MO dell’INAIL si occupa degli infortuni mortali e gravi sul lavoro e dal 2014 fa parte del Piano Nazionale di Prevenzione. Il 30% degli infortuni riguarda il settore edile e quello agricolo (soprattutto causati da cadute dall’alto e dai veicoli in marcia, come il ribaltamento dei trattori). Comunque, anche se gli infortuni fanno notizia, si muore di più per le malattie professionali che per gli infortuni. Purtroppo le statistiche sulle malattie professionali sono datate (risalgono al 2012). Non tutte le regioni trasmettono i dati, anche il Piemonte è in difetto. Mancano pertanto le rilevazioni annuali, i report delle attività nazionali, le rilevazioni sulle violazioni e i dati sulle buone prassi, così come risulta scarsa la reportistica sui danni da lavoro ed i dati sono poco correlati alle esposizioni. Rispetto al numero prestabilito di controlli, si tratta solo di un suggerimento, non è vincolante. Si consideri che il 95% delle Aziende ha meno di 10 dipendenti ed il 98% dei datori di lavoro è RSPP (responsabile servizio prevenzione e protezione) ed inoltre i RLS (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza) risultano scarsi e poco qualificati. Cosa dovrebbero fare gli SPRESAL? I loro compiti sono gravosi: rispondere agli esposti, raggiungere i LEA (ma mancano i chiarimenti), affrontare i ricorsi contro i medici competenti, effettuare inchieste sugli infortuni e le malattie. Non esiste inoltre un coordinamento per uniformare i comportamenti. Da quanto descritto, il Dr. Ferraris sostiene che risulta indispensabile lo sviluppo del SINP (sistema informativo nazionale di prevenzione). Sarebbero necessari “piani mirati di prevenzione” che non si limitino all’analisi degli infortuni e che definiscano le competenze necessarie con uno standard minimo di personale. Sarebbe inoltre di grande utilità uno stretto rapporto con le Università e le Società Scientifiche. “In questa complessa realtà “ ha sottolineato nel suo intervento Claudio Calabresi dello SNOP (società nazionale operatori della prevenzione), “bisogna integrare le diverse scienze”. Ormai i confini tra vita e lavoro sono labili. Dopo 40 anni dalla Riforma Sanitaria siamo di fronte a enormi cambiamenti nel mondo del lavoro e ad una minore forza del Sindacato. Un terzo dei lavoratori non è assicurato presso l’INAIL (nel 2016 dei 23 milioni di occupati solo 16 milioni risultavano assicurati). Nel nostro Paese, due terzi degli assicurati risultano del centro nord. E’ aumentata, in questi ultimi anni, l’elusione delle denunce di infortuni e delle malattie professionali. Due terzi delle malattie professionali riguardano patologie osteo-artro-muscolo-scheletriche. I tumori incidono per un 5%. Delle circa 60.000 denunce di malattie professionali 21.000 vengono riconosciute. Altro problema di questi anni sono le tragedie ambientali. Potrebbe apparire positivo il calo delle denunce, ma si pensi che nasce anche dal minor numero di occupati e dalla delocalizzazione, perché i fatti non avvengono sul nostro territorio. Non esiste una mappa dei rischi, si considerano solo gli osservati non gli attesi, come richiederebbe il “principio di precauzione”. Manca una ricerca attiva (anche sulle origini delle patologie multifattoriali). Per superare la “solitudine del mondo del lavoro” ci vorrebbe una partecipazione concreta delle parti sociali: OOSS e Imprese. Il convegno ha fatto emergere quanto il cambiamento della società e del mondo del lavoro, se non affrontati con urgenza ed in maniera sistematica, aggraveranno sempre di più patologie vecchie e nuove non solo degli attuali lavoratori, ma anche delle generazioni future.
Fonte: Cipes – Promozione salute n.4 2018 di Gabriella Martinengo
Tra le iniziative per i 40 anni del SSN, CIPES ha contribuito anche all’organizzazione del Convegno “Salute e lavoro: come la crisi e la precarietà hanno modificato questo rapporto”, tenutosi il 29 novembre 2018 al Polo del ‘900 a Torino. E’ un tema molto legato alle attività di Risorsa, in special modo quando i relatori hanno messo in luce le conseguenze sulla salute e i rapporti sociali delle persone licenziate. Crisi del lavoro e precarietà, due tendenze che stanno sempre più incidendo sulla diminuzione di salute: è emerso che, fra i vari fattori che influiscono pesantemente sulla perdita di salute, ci sono anche la diffusa precarietà e la crisi lavorativa. Angelo D’Errico, epidemiologo dell’ASL TO3, ha evidenziato, nel suo intervento, le varie diseguaglianze nel campo della salute dovute alla stratificazione sociale (tipo di istruzione, reddito, classe occupazionale) e le sue conseguenze (mortalità, morbosità, incidenza di malattie, aumento della suscettibilità e del rischio). Dagli studi di settore si nota che la prevalenza di problemi collegati alla salute si riscontra fra le classi più svantaggiate. In tutti i Paesi Europei, ad esempio, la speranza di vita varia di circa 7 anni per i ceti più poveri. Altro fattore da considerare è la salute percepita (predittore di mortalità): gli appartenenti alle classi più svantaggiate, più frequentemente, si descrivono con una cattiva salute, mentre i più benestanti e con maggiore livello culturale si considerano in buona salute. Lo stato di salute percepito e la media dei giorni in salute o con limitate attività sono correlati all’età, al sesso, al livello di istruzione, alla presenza di malattie. La percezione di buona salute diminuisce con l’aumentare dell’età, è minore tra le donne, tra i meno istruiti e tra coloro che sono affetti da malattie. Quali sono i fattori che incidono sulla mortalità? Fumo, sovrappeso (problema ormai frequente in Italia), carenza di attività fisica, diabete mellito (in aumento nel nostro Paese), carenza di frutta e verdura nell’ordinaria alimentazione. Le disuguaglianze della salute dipendono, come già evidenziato, dalla posizione sociale (materiale, prestigio, relazioni sociali) e dai fattori di rischio (psicosociali, comportamentali, ambientali, inerenti l’accessibilità ai servizi) ed incidono pertanto sulla mortalità, la morbilità, i traumi, le disabilità. Le classi più basse sono, nel mondo del lavoro, le più esposte ad agenti chimici e fisici, a fattori economici, a fattori psicosociali (insicurezza, stress, basso controllo del lavoro). Sul job strain (stress da lavoro) influiscono anche la poca autonomia e la ripetitività delle azioni. Il basso controllo sul lavoro sembra sia anche in relazione alle malattie cardiovascolari e alle patologie psichiatriche, mentre i disturbi muscoloscheletrici derivano prioritariamente dal lavoro fisico, le cattive posture, i movimenti ripetitivi, i movimenti di carichi. Anche i casi di tumore risultano maggiori nelle classi sociali disagiate. In conclusione i fattori economici, psicosociali, ambientali e le condizioni di lavoro, provocano differenze di salute nella società. Il sociologo Roberto Di Monaco ha invece illustrato una ricerca effettuata nel 2013 su un campione di lavoratori, fra i 30 e i 45 anni, che avevano subito un licenziamento inaspettato. Lo studio ha cercato di comprendere quali siano le strategie proattive e reattive delle persone che devono affrontare una tale perdita. Il licenziamento, si sa, porta a una carenza di risorse economiche, a una minore capacità di reazione, alla perdita di capacità lavorative, a minori relazioni sociali, a una perdita di ruolo, a una crisi familiare. Il 70% dei soggetti del campione non riusciva ad arrivare a fine mese, pochissimi erano coperti da un basso sussidio, a volte non lo avevano neppure richiesto o non lo avevano ottenuto. Le persone licenziate stavano peggio dei disoccupati da lungo tempo, dichiaravano persino minori aspettative per il futuro. Il morale bassissimo e la mancanza di energia influivano anche sulla salute mentale. Ne è derivato un vero e proprio isolamento sociale, con mancanza di relazioni anche con gli ex compagni di lavoro, occupati e no. Le politiche a disposizione consistevano in corsi di formazione inutili come inutili si sono dimostrati gli altri ammortizzatori sociali. L’impossibilità di una progettazione futura, l’isolamento, le umiliazioni e il passato che incombeva con i suoi ricordi hanno così provocato un logoramento della salute. E’ poi intervenuto il Direttore dello SPRESAL di Biella Fabrizio Ferraris che ha sottolineato come attualmente manchi la formazione e la sorveglianza sanitaria di inizio rapporto. Mancano i report di varie regioni. Rispetto al 2016, nel settore delle costruzioni è aumentato il lavoro autonomo e questo ha provocato maggiori rischi e minori segnalazioni. Il sistema INFOR.MO dell’INAIL si occupa degli infortuni mortali e gravi sul lavoro e dal 2014 fa parte del Piano Nazionale di Prevenzione. Il 30% degli infortuni riguarda il settore edile e quello agricolo (soprattutto causati da cadute dall’alto e dai veicoli in marcia, come il ribaltamento dei trattori). Comunque, anche se gli infortuni fanno notizia, si muore di più per le malattie professionali che per gli infortuni. Purtroppo le statistiche sulle malattie professionali sono datate (risalgono al 2012). Non tutte le regioni trasmettono i dati, anche il Piemonte è in difetto. Mancano pertanto le rilevazioni annuali, i report delle attività nazionali, le rilevazioni sulle violazioni e i dati sulle buone prassi, così come risulta scarsa la reportistica sui danni da lavoro ed i dati sono poco correlati alle esposizioni. Rispetto al numero prestabilito di controlli, si tratta solo di un suggerimento, non è vincolante. Si consideri che il 95% delle Aziende ha meno di 10 dipendenti ed il 98% dei datori di lavoro è RSPP (responsabile servizio prevenzione e protezione) ed inoltre i RLS (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza) risultano scarsi e poco qualificati. Cosa dovrebbero fare gli SPRESAL? I loro compiti sono gravosi: rispondere agli esposti, raggiungere i LEA (ma mancano i chiarimenti), affrontare i ricorsi contro i medici competenti, effettuare inchieste sugli infortuni e le malattie. Non esiste inoltre un coordinamento per uniformare i comportamenti. Da quanto descritto, il Dr. Ferraris sostiene che risulta indispensabile lo sviluppo del SINP (sistema informativo nazionale di prevenzione). Sarebbero necessari “piani mirati di prevenzione” che non si limitino all’analisi degli infortuni e che definiscano le competenze necessarie con uno standard minimo di personale. Sarebbe inoltre di grande utilità uno stretto rapporto con le Università e le Società Scientifiche. “In questa complessa realtà “ ha sottolineato nel suo intervento Claudio Calabresi dello SNOP (società nazionale operatori della prevenzione), “bisogna integrare le diverse scienze”. Ormai i confini tra vita e lavoro sono labili. Dopo 40 anni dalla Riforma Sanitaria siamo di fronte a enormi cambiamenti nel mondo del lavoro e ad una minore forza del Sindacato. Un terzo dei lavoratori non è assicurato presso l’INAIL (nel 2016 dei 23 milioni di occupati solo 16 milioni risultavano assicurati). Nel nostro Paese, due terzi degli assicurati risultano del centro nord. E’ aumentata, in questi ultimi anni, l’elusione delle denunce di infortuni e delle malattie professionali. Due terzi delle malattie professionali riguardano patologie osteo-artro-muscolo-scheletriche. I tumori incidono per un 5%. Delle circa 60.000 denunce di malattie professionali 21.000 vengono riconosciute. Altro problema di questi anni sono le tragedie ambientali. Potrebbe apparire positivo il calo delle denunce, ma si pensi che nasce anche dal minor numero di occupati e dalla delocalizzazione, perché i fatti non avvengono sul nostro territorio. Non esiste una mappa dei rischi, si considerano solo gli osservati non gli attesi, come richiederebbe il “principio di precauzione”. Manca una ricerca attiva (anche sulle origini delle patologie multifattoriali). Per superare la “solitudine del mondo del lavoro” ci vorrebbe una partecipazione concreta delle parti sociali: OOSS e Imprese. Il convegno ha fatto emergere quanto il cambiamento della società e del mondo del lavoro, se non affrontati con urgenza ed in maniera sistematica, aggraveranno sempre di più patologie vecchie e nuove non solo degli attuali lavoratori, ma anche delle generazioni future.
Fonte: Cipes – Promozione salute n.4 2018 di Gabriella Martinengo