ALTA FORMAZIONE ON LINE
Sabato 16/5, due nostri Volontari hanno assistito ad un webinar della scuola di politica “Polis Policy – accademia di alta formazione”, organizzata dall’associazione “Difendiamo il futuro” e che era la terza sessione del ciclo dedicato all’evolversi del concetto di democrazia in Italia e in Europa. Il tema di questo seminario era: “Sovranità e potere nell’era digitale”. La partecipazione della nostra associazione aveva lo scopo di fornire un quadro di riferimento della società in cui opera quotidianamente il volontariato e per questo crediamo sia utile diffonderla nel sito e nella pagina FB di Risorsa. Come sempre, rispettiamo la regola editoriale che ci siamo imposti per ragioni di privacy cioè di non citare i relatori, ma solo i contenuti.
L’assistere individualmente da un computer, anziché da una sala in cui circa 100 persone avevano instaurato tra loro anche utili relazioni sociali, a 5 ore di lezioni, di cui alcune frontali (dove è stata illustrata la “vision” cioè il quadro generale), altre sotto forma di discussione tra relatori (“agorà”, cioè la “piazza” ,in questo caso digitale) non è stato facile per i nostri Volontari, che ringraziamo per l’impegno. Ne presentiamo un breve abstract.
L’era digitale riguarda anche l’evoluzione della democrazia che, nei secoli più recenti si è manifestata attraverso il crollo delle “monarchie assolute” e il nascere di Costituzioni nazionali e che oggi riporta al centro il tema della “sovranità” dei cittadini. Il modo in cui oggi tale sovranità esprime è, in gran parte, legato all’uso dei social da parte dei personaggi politici che, prima d’ora, avevano parlato dalle piazze in affollati comizi. Ma è anche legato a come il mondo dell’informazione tradizionale (in primis la stampa) si pone di fronte alla nuova realtà digitale.
La capacità dei relatori, come sempre di altissimo profilo, è stata quella di ricordare fatti concreti in cui i social si sono rivelati essenziali per il successo elettorale di politici, di giornalisti o di comuni cittadini per comunicare la necessità di rispettare i diritti civili delle persone (un tema importante per la nostra associazione). Per quest’ultima tipologia è significativo il caso delle Primavere Arabe contro regimi anti democratici, ma anche il caso della giornalista filippina Maria Resta che ha diffuso su FB (seguito dal 97% dei cittadini di quel Paese) il conteggio delle morti dovute al regime poliziesco al potere. Se questi sono gli aspetti in cui la “sovranità” delle persone ha valenze positive, esistono anche gli aspetti negativi delle interferenze politiche. Infatti l’algoritmo di Facebook, si basa su un primo pilastro definito come “bolla che risuona”, poiché dapprima mette in comunicazione gli “amici” , in genere coloro che la pensano come te, ma poi, per la sua viralità, coinvolge anche chi originariamente non era “amico”, indipendentemente dalle forme pubblicitarie a pagamento, che costituiscono il vero “business” dell’azienda di Zuckemberg. Si tratta di una forma di “propaganda”, retaggio dei regimi totalitari del ‘900, che raggiunge direttamente i cittadini. Un altro pilastro è la “disintermediazione”, dove i social concedono al “potente” di turno di by-passare corpi intermedi, come i giornalisti o i sindacati per rivolgersi direttamente al loro pubblico; la differenza tra i “tweet” e, ad esempio, le conferenze stampa è che non esistono più i “mediatori” con le loro domande a volte scomode, ma tese a tutelare cittadini svantaggiati (i politici considerano spesso i giornalisti parassiti, partigiani e perditempo). Dalle domande i giornalisti sintetizzavano un quadro dove apparivano pregi e difetti della proposta. Invece il potente, con un linguaggio semplice propone idee impossibili da realizzare, facendo credere di poter così risolvere problemi complessi . E’ attraverso i social che gli ultimi Presidenti degli Stati Uniti sono riusciti a non rispondere a domande che invece avrebbero posto i giornalisti con il “rito” della conferenza stampa. Ma anche nelle apparizioni pubbliche, costoro non rispondono, ma si limitano a salutare cortesemente. La loro propaganda è quindi unidirezionale, ma li ha fatti preferire a candidati che avevano una mentalità più vecchia. C’è poi chi, a casa nostra, usa altre tecniche sui social, come quella di farsi domande da solo, cui dà la risposta che l’elettorato vuole sentirsi dire, sviluppando “l’iperpartigianeria”, che è il terzo pilastro su cui si basano i social. E’ quindi un modo di parlare solo al “proprio elettorato”, infischiandosene di chi non la pensa come loro. C’è anche chi, al contrario, pensa di strappare consensi anche all’elettorato avverso: ci vuole in questo caso la stessa abilità che hanno le aziende di acquisire un nuovo cliente, anziché consolidare il rapporto con i già clienti. La possibilità di utilizzo di entrambe è data dai “Google analytics” cioè le statistiche che rilevano i trend più significativi, per adattare ad essi le proposte politiche e cogliere il momento giusto (oltre, naturalmente, in ambito di marketing, a raccogliere nomi, gusti e foto, come su Instagam, per fare pubblicità mirata). E’ esplicativo e anche curioso (come nella sessione precedente (vedi i mappamondi dei cinesi al link del sito): Rubrica Lavoro – Economia come le foto raccolte sui social vengano vendute alla polizia per identificare i delinquenti !. Come giudicare, quindi, se la tecnologia è il vero “potere” della nostra società? La risposta è ambivalente, poiché, se da un lato, aumenta la “marginalità decisionale” con messaggi mirati, dall’altro essa divide la società in “like” e “unlike”. Non è più un potere costrittivo esterno (monarchie, regimi autoritari), ma un potere che “convince”, poiché indirizza una presunta libertà di tutti verso i desideri di pochi. Di fronte a ciò i dettami costituzionali appaiono inadeguati, poiché non devono più tutelare i deboli a difendersi da attacchi dall’esterno, ma da “convinzioni”. Contro di queste, le Costituzioni dovrebbero passare attraverso la critica della cosiddetta “convinzione”. Non occorrerebbero più “sanzioni”, ma la possibilità di non aderire a preferenze su ciò che già abbiamo, ma che non sappiamo utilizzare, diventando quasi pappagalli di cose dette da altri. E questo si potrebbe definire come “universo autistico”. Il nuovo potere, come ora configurato, è senza limiti rispetto alla “responsabilità” di ciascuno. Ciò che occorre fare è la formazione di idee proprie. Alla verità mediata dalla stampa si è sostituita la forza dei nuovi mediatori digitali, non più diretta solo alla pubblicità consumistica privata, ma alle idee stesse, patrimonio di tutti. Per frenare la situazione esistono già le autorità “antitrust”, ma queste non riescono a contrastare i mercati. La conseguenza è che oggi i monopolisti vengono sanzionati con multe troppo basse rispetto ai loro profitti. Nella sfera del privato assistiamo alla preferenza dei giovani per ciò che si “guarda” su ciò che si “scrive”. Ne è un esempio Instagram, ma anche Whats app con i suoi messaggi vocali. Curiosamente, per non dire drammaticamente, la messaggistica vocale non è un miglioramento della tecnologia, ma, grazie alla mossa di marketing di Facebook ha permesso ai gestori di smartphone di aggredire il mercato dell’ India , dove era diffuso l’analfabetismo. E parlare con un messaggio vocale rende liberi dal saper scrivere. Innanzitutto spiace che spesso alla parola “marketing” venga assegnato un valore negativo, mentre ne possiede anche uno positivo, legato alle strategie aziendali dette “di lungo termine”, strategie che oggi mancano, essendo tutti concentrati sul breve termine. Poi però è spiacevole pensare che il legame tra pensiero e scrittura viene distrutto, tornando in un certo senso alla preistoria, dove ci si esprimeva per immagini. E’ anche un impatto antropologico sulla relazione interpersonale umana poiché, al limite una persona detta nel telefono una frase e un meccanismo come una “app”…la scrive. Un’altra conseguenza tra il distacco del pensiero dall’azione è che viene privilegiata la velocità a scapito del contenuto. Un potere odierno è proprio il fattore tempo che diventa, in linguaggio matematico, un “fattore di potenza”: dove I (importanza) di una variabile X è tanto maggiore quanto il fattore tempo (T) a denominatore della frazione diventa più piccolo, secondo l’espressione:
I= X/T
Così la “distopia” tra spazio e tempo giunge, per effetto della tecnologia, a creare nuovi “servi della gleba” incapaci di affrancarsi dall’ignoranza, mentre nascono nuove “elite” che si vantano di saper gestire il tempo. Così, quella che pare efficienza non sempre coincide con l’efficacia di un’azione, soprattutto se questa implica una responsabilità morale.
La tecnologia poi crea delle “commodities” cioè dei servizi ad uso di società private come surrogati delle competenze, dotati di grande forza pratica, ma che provocano, grazie alla virtualità del web, un vero e proprio “distanziamento sociale” (come accade nell’attuale frangente pandemico). Infine le tecniche di profilazione statistica, che a volte risolvono fino all’80% di qualsiasi ragionevole dubbio, ( a parte la tutela della privacy, non sempre garantita) lasciano il residuo 20% all’intervento umano e ciò appare pericoloso ad esempio in ambito giudiziario, dove quell’80% potrebbe essere distorsivo dell’interpretazione di un reato da parte di un giudice. Infine la tecnologia sembrerebbe ridurre le diseguaglianze sociali in campi come la salute (telemedicina) o l’istruzione (lezioni a distanza), per non parlare dello smart working, ove sia disponibile una banda larga di connessione ad Internet: ma sappiamo come in Italia una larga fascia di popolazione, per ragioni di dislocazione geografica, di competenza o di età, rimanga esclusa dei benefici della tecnologia stessa.
Riassumendo, i nuovi mediatori che, attraverso i social, hanno sostituito quelli tradizionali (stampa e anche TV), non mirano all’interesse generale ma hanno uno scopo “colonico” di dare soddisfazione ad utenti con ciò che già a loro piace sentirsi dire (costruzione del consenso), ma dividendo sempre più la società in opposte fazioni, mentre grandi gruppi privati fanno enormi profitti con la pubblicità. Inoltre i social sono strutturati sulla dittatura del tempo, cioè dell’urgenza del breve a scapito dell’approfondimento e del lungo periodo. Con la caduta delle ideologie, la politica è volatile e i politici, soprattutto quelli che non hanno storia alle spalle, non privilegiano più la difesa dei deboli o comunque di dogmi cari sia alla destra che alla sinistra, ma si accontentano di ottenere più “like” dei concorrenti, indipendentemente da ciò che dovrebbero raccontare (anche perché non ne hanno sempre la competenza). In questo periodo di emergenza sanitaria, anche la comunità scientifica è diventata simile a “star” cinematografiche, senza filtri, avendo come uditori persone senza competenze scientifiche, che quindi si comportano come fossero commissari tecnici della nazionale di calcio… Non è certo un quadro confortante per concetti come sovranità e potere, intesi come quelli tutelati dalle Costituzioni, poiché la sovranità del popolo è limitata dai nuovi mediatori e il potere non è più tanto dello Stato, quanto di multinazionali private. Come si era concluso nelle passate sessioni di questo corso di politica, il futuro in Italia dovrà passare attraverso la partecipazione dei corpi intermedi alla politica, in Europa attraverso una maggiore unità fra gli Stati e, nel caso dell’era digitale, attraverso la formazione di giovani in grado di comprendere e approfondire gli avvenimenti senza i limiti di una comunicazione che, solo a parole, è detta “disintermediata”