RICONOSCERE IL MOBBING, CONTRASTARLO E PREVENIRLO
Ecco un grande evento! Fa piacere vedere che la “mission”di Risorsa, che da anni gestiamo nel quotidiano, assurge a dignità accademica. Pubblichiamo perciò il contributo che alla conoscenza, al contrasto e alla prevenzione del mobbing, ha dato il Consigliere di Risorsa Dr. Alberto Colzani. Come membro del Consiglio Direttivo, il suo apporto è sempre stato di grande aiuto per l’Associazione e di ciò lo ringraziamo vivamente. La tesi, che riportiamo integralmente, è rivolta al mondo della Sanità, in cui egli opera, ma offre una panoramica completa del fenomeno del mobbing in tutte le organizzazioni. Si tratta di una tesi di project work, del novembre 2016, presso il:
CENTER FOR ADVANCED STUDIES IN LEADERSHIP
IN COLLABORAZIONE CON IL DIPARTIMENTO DI ECONOMIA AZIENDALE DELL’UNIVERSITA’ DI PISA
MASTER EXECUTIVE IN
MANAGEMENT DELLE AZIENDE SANITARIE
Riconoscere il Mobbing, contrastarlo e prevenirlo:
breve analisi del fenomeno, nei suoi aspetti relazionali, psicologici, medici, legali, e soluzioni percorribili
Premessa
Il mobbing (dall’inglese to mob: molestare, assalire) è divenuta una pratica diffusa negli ambienti di lavoro, consistente in persecuzioni sistematiche e perduranti nel tempo, eseguite ad arte da un superiore gerarchico (mobber) e/o da colleghi, tramite violenze psicologiche e morali, prepotenze, soprusi, dequalificazioni, al fine di isolare e danneggiare la vittima, fino anche ad estrometterla dall’attività lavorativa. E’ pertanto l’intera organizzazione del lavoro che risente del conflitto, con conseguenze rilevanti sul piano dei rapporti interpersonali, tali da incidere fortemente sulle attività quotidiane e sulla vita di relazione di chi ne è colpito. Tali pratiche son diventate nel tempo oggetto di interesse per il legislatore, per le aziende (anche per i costi economici che ne derivano), per le associazioni dei lavoratori, per gli psicologi e gli studiosi delle organizzazioni complesse.
Cap. 1. Definizione di mobbing
Secondo la classica definizione di H. Leymann (1) Il “mobbing, o terrore psicologico sul posto di lavoro”, consiste in: “messaggi ostili e moralmente scorretti, diretti sistematicamente da uno o più individui verso un solo individuo, il quale, a causa del perpetuarsi di tali azioni, viene posto e mantenuto in una condizione di impotenza e incapacità a difendersi. Le azioni di mobbing si verificano molto frequentemente (almeno una volta alla settimana) e per un lungo periodo di tempo (per almeno sei mesi). A causa della frequenza elevata e della lunga durata del componente ostile, questo maltrattamento produce uno stato di considerevole sofferenza sul piano mentale, psicosomatico e sociale.”
- Ege (2) riprendendo Leymann, così lo definisce più nel dettaglio: “una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori. La vittima di queste vere e proprie persecuzioni si vede emarginata, calunniata, criticata: gli vengono affidati compiti dequalificanti, o viene spostata da un ufficio all’altro, o viene sistematicamente messa in ridicolo di fronte a clienti o superiori. Nei casi più gravi si arriva anche al sabotaggio del lavoro e ad azioni illegali. Lo scopo di tali comportamenti può essere vario, ma sempre distruttivo: eliminare una persona divenuta in qualche modo “scomoda”, inducendola alle dimissioni volontarie o provocandone un motivato licenziamento.”
In sintesi, possiamo parlare propriamente di mobbing in presenza di una violenza psicologica e morale (che può avere aspetti molto subdoli) perpetrata, in modo sistematico e durevole, dal datore di lavoro o superiori gerarchici (mobbing verticale), o da colleghi di pari livello (orizzontale), ma anche da subalterni (mobbing dal basso), con l’ obiettivo di isolare, marginalizzare, arrecare danno alla professionalità, alla reputazione, all’ immagine, alla salute del malcapitato, ed infine di esautorarlo dalle funzioni esercitate, portarlo alle dimissioni o al licenziamento. Dunque un grave percorso avversativo – nel quale Ege (3) individua tipicamente sei fasi – posto in essere per imporre la volontà di uno o più aggressori, che può in alcuni casi sfociare in violenze fisiche.
Cap. 2. Dati Sociali
Stime allarmanti quantificano in dodici milioni il numero dei lavoratori interessati dal fenomeno in ambito U.E., pari all’ 8% degli occupati. Inoltre, secondo l’ultimo sondaggio di opinione paneuropeo (EU-OSHA, 2014), il 51% degli intervistati ritiene che nel proprio luogo di lavoro siano presenti forme di stress lavoro-correlato, e quasi la metà pensa che questo non sia adeguatamente gestito all’ interno della propria organizzazione. Si calcola che nel nostro Paese vengano colpiti dal mobbing un milione e mezzo di lavoratori su 21 milioni di occupati, maggiormente nelle regioni del Nord, determinando in qualche modo il coinvolgimento di 5 milioni di persone (specialmente in ambito familiare). Secondo l’ ISPESL (4) ad esserne più colpiti sarebbero i lavoratori maschi, in prevalenza quadri e dirigenti, e maggiormente nel settore pubblico. E si tratta di dati ragionevolmente sottostimati, considerato anche il tipico corollario di spettatori passivi (che pur non essendone direttamente responsabili scelgono l’indifferenza, magari senza rendersi conto della portata delle conseguenze), e di spettatori attivi (side mobbers), i cui atteggiamenti deprimono ulteriormente la reattività della vittima, ostacolando l’emersione del problema in tutta la sua portata.
Cap. 3 Aspetti psicologici e relazionali
Minando bisogni fondamentali, quali quelli di sicurezza e tranquillità – alla base della piramide di Maslow (5) – il mobbing costituisce un vero attentato all’integrità psico-fisica delle persone colpite, e spesso anche dei loro famigliari, amplificandone drammaticamente la portata. Se, infatti, in un primo tempo, la vittima potrà trovare comprensione e appoggio tra i congiunti, perdurando la situazione di malessere anche le risorse reattive entreranno fatalmente in crisi, e il sostegno potrà venir ritirato: un percorso particolarmente doloroso per il “sistema famiglia”, che Ege (3) definisce “doppio mobbing”. Di pari passo con la disgregazione del tessuto relazionale lavorativo ed extra lavorativo, prenderanno piede le più diverse patologie direttamente o indirettamente correlate allo stress cronico negativo (6) – tipicamente: disturbo dell’adattamento cronico, depressione, disturbo post-traumatico da stress – con cospicui costi sociali, sanitari, previdenziali, medico-legali. In certi casi, si manifesteranno comportamenti anticonservativi. Ma, aldilà delle ripercussioni sulla vittima, quali danni può subire la stessa organizzazione del lavoro, quando pulsioni distruttive emerse dal cervello rettiliano, hanno libero sfogo? Un mobber indisturbato potrà dedicare buona parte del suo tempo (pagato dall’Azienda!) alla pianificazione e all’attuazione del percorso avversativo, anche al fine di intralciare il lavoro della vittima con comportamenti ostruzionistici e indurla in errori, che si scaricheranno comunque sull’ organizzazione. Così anche il calo di produttività, e le assenze per malattia, e l’aumentato rischio infortuni, che graveranno sull’équipe. Comportamenti devianti, che se posti in essere nella Pubblica Amministrazione in violazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, possono configurare un vero e proprio danno erariale, come riconosciuto dalla più recente giurisprudenza.
Cap. 4. Mobbing e organizzazione del lavoro
Parlando di mobbing, ci riferiamo quindi a una grave sindrome psico-sociale, di natura dolosa, diffusa in ogni settore e a ogni livello dell’organizzazione del lavoro, con pesanti ripercussioni sulla sfera biologica, relazionale, esistenziale, individuale e collettiva. Ma il mobbing non si sviluppa a caso, nutrendosi tipicamente di un substrato relazionale dominato da individualismo e competizione esasperata, che finiscono per destabilizzare e frammentare i rapporti interpersonali, nel quale la discriminazione e poi l’ emarginazione progressiva di chi non viene ritenuto all’ altezza, o non sufficientemente “allineato” (e quindi scomodo), o ancora economicamente non più conveniente, può condurre all’ esclusione da processi decisionali/produttivi, al demansionamento e al licenziamento. Comportamenti di persecutio ad personam che si ritenevano tipici di un mercato del lavoro nel quale il progressivo sgretolamento dei meccanismi di tutela e la flessibilità imperante sono sempre più sinonimo di precarietà e incertezza – e dove anche i soprusi e le vessazioni sistematiche possono diventare strumento selettivo “strategico” – ma che in mancanza di una corretta gestione della conflittualità (inevitabilmente presente in ogni sistema organizzativo), possono prendere piede anche nella Pubblica Amministrazione, laddove a prevalere saranno piuttosto forme di “mobbing relazionale”, magari originate da sentimenti di invidia e acredine verso coloro che si distinguono per qualità intellettuali, professionali, morali. A favorire il mobbing, anche in seno alle Aziende Sanitarie, non sarà quindi la semplice presenza di situazioni fortemente competitive (dotate di risvolti positivi, laddove potenzialità individuali e legittime istanze di crescita professionale possono confrontarsi in modo leale e trasparente), ma piuttosto una gestione inadeguata, se non addirittura patologica, della conflittualità – che può degenerare in gravi percorsi avversativi alimentati da antagonismo permanente distruttivo, a volte appositamente fomentato secondo la logica del “divide et impera” – riproponendo, a monte, l’importanza di una oculata scelta delle leadership.
Cap. 5. Giurisprudenza
La più recente formulazione del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici (secondo i dettami e del D.Lgs n. 165/2001, novellato, e della Legge n. 190/2012), emanato con D.P.R. n. 62/2013, demanda alle figure dirigenziali precisi doveri in tema di trasparenza e promozione del benessere organizzativo, così da favorire la circolazione delle informazioni in un contesto di pari opportunità, cordialità e rispetto, con equa ripartizione dei carichi di lavoro tra il personale gestito, curandone altresì la formazione e l’ aggiornamento. Notevole è il fatto che la violazione dei citati doveri di buon comportamento, oltre a configurare profili di responsabilità disciplinare, può, come prima accennato, divenire rilevante ai fini risarcitori (come dimostrano recenti sentenze, prevalentemente incardinate sul dettato dell’ art. 2087 C.C., che impone l’ adozione di misure atte a salvaguardare l’ integrità fisica e la personalità morale del prestatore). Certo, i rischi psico-sociali in ambiente lavorativo, benchè possano anch’essi scaturire da cattiva gestione da parte dei dirigenti, risultano più difficili da individuare rispetto a quelli puntualmente normati dal Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro (D.Lgs n. 81/08), il quale comunque stabilisce (art. 18, comma 1, c), che il datore di lavoro e i dirigenti devono: “nell’affidare i compiti ai lavoratori, tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza”. Principio cardine di tutela, che si ricollega anche alla prevenzione dello “stress lavoro correlato”, che secondo l’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul lavoro “viene esperito nel momento in cui le richieste provenienti dall’ambiente lavorativo eccedono le capacità dell’individuo nel fronteggiare tali richieste”. Fermo restando che la valutazione dello stress lavoro correlato, obbligatoria dal gennaio 2011, è in capo al Datore di lavoro (in collaborazione con il Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione, e con il Medico Competente), e non al dirigente, il fenomeno non deve essere confuso con il mobbing, che presuppone invece comportamenti devianti e intenzionali. Illuminante è il pronunciamento della Cassazione Civile, Sezione Lavoro, che con sentenza n. 17270 del 12 luglio 2013, ricorda “che, in base a un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, nella disciplina del rapporto di lavoro, ove numerose disposizioni assicurano una tutela rafforzata alla persona del lavoratore con il riconoscimento di diritti oggetto di tutela costituzionale, il datore di lavoro non solo è contrattualmente obbligato a prestare una particolare protezione rivolta ad assicurare l’integrità fisica e psichica del lavoratore dipendente (ai sensi dell’ art. 2087 del C.C.), ma deve rispettare il generale obbligo di neminem laedere e non deve tenere comportamenti che possano cagionare danni di natura non patrimoniale, configurabili ogni qual volta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, i suddetti diritti”.
I danni che possono derivare al lavoratore mobbizzato sono sintetizzabili in:
– danno biologico: consiste in una lesione dell’integrità psico-fisica, suscettibile di valutazione medico legale, che stabilisca l’esistenza di una patologia;
– danno morale: s’identifica nello stato di sofferenza acuta interiore e di turbamento dello stato d’animo del lavoratore;
– danno esistenziale: il pregiudizio provocato è tale da alterare le abitudini e le relazioni interpersonali della vittima (interne o esterne all’ambiente di lavoro), tali da compromettere la stessa qualità della vita.
Si deve ancora ad Ege (7) l’ elaborazione di un metodo (già riconosciuto ed applicato da vari Tribunali del Lavoro italiani) che, oltre ad appurare la sussistenza di una situazione di mobbing, consente di valutare e quantificare a fini risarcitori il danno esistenziale che ne può derivare. Ma aldilà degli obblighi di legge e degli strumenti di tutela (oltre a quelli richiamati, principalmente gli artt. 32 e 40 della Costituzione; gli artt. 2103, 1175 e 1375 del C.C.; gli arrt. 9, 13, 15, 18, dello Statuto dei Lavoratori, ed in materia medico – legale, l’ art. 13 del D.Lgs 38/2000) – importanti capisaldi che però risultano spesso di problematica applicazione, al cospetto di un fenomeno complesso che ancora attende, nel nostro Paese, un inquadramento giuridico come reato a sé stante – è sul fronte della prevenzione che occorre concentrare gli sforzi maggiori, in modo da promuovere un cambio di passo soprattutto culturale, che sancisca in modo fermo la inammissibilità dell’uso della posizione gerarchica a fini vessatori, e più in generale l’inviolabilità della sfera psico-fisica individuale.
Cap. 6. Quali tutele per il lavoratore colpito da mobbing.
Accanto ad importanti esperienze pilota basate su questionari e indagini anche ad opera di accreditate Associazioni di volontariato ONLUS (8), novità incoraggiante è stata, prima, l’ istituzione di specifici Comitati previsti dai contratti del Pubblico Impiego, finalizzati a contrastare il fenomeno del mobbing anche mediante informazione e formazione dei lavoratori – chiave di volta di ogni incisiva attività di prevenzione – e più di recente, l’ istituzione dei Comitati Unici di Garanzia (CUG), anch’ essi paritetici, con funzioni propositive, consultive e di verifica, finalizzate alla promozione del benessere organizzativo in senso lato, contrastando ogni forma di discriminazione, prevaricazione, violenza psicologica, per la tutela della dignità del lavoratori tutti. Ne sono scaturiti appositi Codici di Condotta. Paradigmatico, quello recentemente deliberato dalla ASL TO 1 (9), che recependo anche diverse Raccomandazioni della Commissione Europea e Risoluzioni del Parlamento Europeo, impegna l’ Amministrazione a: “promuovere il benessere organizzativo, ovvero ad eliminare ogni possibile causa di carenza organizzativa, di carenza di direzione e di informazione che possa favorire l’ insorgere di conflitti e di disagio psicologico, determinando quel malessere derivante da disfunzioni strutturali, anche inconsapevoli, dell’ organizzazione stessa del lavoro”. Ed inoltre, a: “rilevare, contrastare e reprimere qualsiasi forma di molestie e discriminazioni, mobbing, straining, stress lavoro correlato ed a garantire il diritto di ciascun/a dipendente ed un ambiente di lavoro sicuro, sereno e favorevole alle relazioni interpersonali su un piano di eguaglianza, reciproca correttezza e rispetto”. Accanto al mobbing, e al già menzionato stress lavoro correlato, vi sono citati anche lo straining (10), situazione di stress forzato di durata costante in cui la vittima subisce almeno una azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ ambiente lavorativo, con effetti duraturi (ad esempio un demansionamento, o un trasferimento disagevole), e le molestie sessuali, che a differenza del mobbing (tipicamente sistematico e abituale), possono configurarsi anche in un solo episodio di attenzioni non desiderate. Tenuti all’osservanza dei principi e delle finalità del Codice di Condotta, sono tutti i dipendenti, e tutte le persone che a qualsiasi titolo operano nell’ ambito Aziendale, con particolare riferimento ai Direttori ed i vari Responsabili aventi funzioni dirigenziali e/o di coordinamento, che “hanno il dovere di applicare il Codice e di promuovere le condizioni che consentano a ciascuna lavoratrice e a ciascun lavoratore di operare secondo integrità, onestà e professionalità”. Strumenti essenziali per darvi piena attuazione, sono il “Consigliere di Fiducia”, – figura innovativa chiamata a svolgere attività di ascolto qualificato, di consulenza e di assistenza a favore di tutti coloro che vi si rivolgono, lamentando comportamenti discriminatori o vessatori, ma anche funzioni preventive volte a rilevare problemi e criticità, nonché di monitoraggio di situazioni di rischio – e gli interventi di divulgazione e di formazione specifica rivolti a tutto il personale dipendente. Una formazione specifica, mirata al coaching di gruppo, con appositi momenti di restituzione, potrebbe fornire al management e alle Risorse Umane delle Aziende Sanitarie, spesso al cospetto di situazioni relazionali problematiche e comportamenti devianti, un ausilio importante per instaurare ad ogni livello la cosiddetta “cultura del litigio” – tratteggiata da Harald Ege fin dal 2001 (11), finalizzata a rendere trasparenti le situazioni conflittuali, in modo da poterle riconoscere per tempo, ed averne una visione obiettiva ed imparziale. Questo nuovo approccio andrebbe a beneficio di tutti. Se infatti il conflitto tradizionale logora e svuota di energie i contendenti, diffondendo la cultura del litigio (che mira proprio a de-emozionare il conflitto), il punto di vista dell’altro può diventare un’opportunità di crescita e di arricchimento personale, i problemi si possono risolvere più velocemente in un clima più sereno, ed in definitiva i dipendenti lavorano meglio e sono più produttivi. Occorre perciò imparare a riconoscere, e soprattutto prevenire, l’instaurarsi di situazioni a rischio, monitorando periodicamente i punti sensibili della organizzazione, quali, ad esempio: procedure e criteri usati per l’assegnazione delle mansioni e dei carichi di lavoro, per le valutazioni periodiche del personale; lo stile di leadership: in particolare la capacità ascolto, di comunicazione e di gestione del conflitto.
Conclusioni
In un Sistema Paese gravato dalla perdurante recessione, ritengo sia particolarmente necessario per le Aziende Sanitarie e per il management non sottovalutare un problema di questa portata, ma affrontarlo con sistematicità, prestando particolare attenzione alle criticità organizzative che potrebbero favorire situazioni di mobbing, così da mettere in campo le opportune misure preventive. In questa giusta prospettiva, sensibilizzazione e informazione dei lavoratori tutti, circa le catastrofiche conseguenze dell’indifferenza verso le condotte mobbizzanti, e una formazione orientata verso le soluzioni percorribili, sottolineando i grandi benefici del lavoro di squadra, appaiono presupposti essenziali per contrastare il fenomeno, riaffermando la centralità dell’uomo nell’ambiente lavorativo attraverso la costante promozione del benessere organizzativo e della cultura della solidarietà.
Santena (TO), 05 novembre 2016
Fonti
(1) Leymann H. (1990) Mobbing and Psychological Terror at Workplaces. Violence and Victims 5.
(2) Ege H. (1996). Mobbing, Che cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro. Pitagora, Bologna.
(3) Ege H. (1997) Il Mobbing in Italia, Introduzione al Mobbing culturale. Pitagora, Bologna.
(4) Lavoro e Benessere. Le molestie morali (mobbing): uno dei rischi derivanti da un’ alterata interazione psicosociale nell’ ambiente di lavoro. Atti del I e del II Seminario Nazionale ISPRESL. Roma, 2000.
(5) Maslow A. H. (1954) Motivation and personality. New York: Harper & Row.
(6) Lo stress in ambiente di lavoro. Linee guida per i datori di lavoro e per i responsabili dei servizi di prevenzione. 2002, ISPRESL Roma.
(7) Ege H. (2002) La valutazione peritale del Danno da Mobbing. Giuffrè, Milano
(8) Il Mobbing e lo stress lavoro correlato: Vademecum per i medici di medicina generale. 2011, Associazione Risorsa Prevenzione Mobbing ONLUS, Torino.
(9) “Approvazione del Codice di Condotta per la valorizzazione del benessere organizzativo contro tutte le discriminazioni e per la tutela della dignità delle lavoratrici e dei lavoratori dell’ Azienda Sanitaria Locale TO1”. ASL TO1, Deliberazione n. 162/B01 del 18.02.2016.
(10) Ege H. (2005) Oltre il Mobbing. Straining, Stalking e altre forme di conflittualità sul posto di lavoro. Franco Angeli, Milano.
(11) Ege H. (2001) Mobbing: conoscerlo per vincerlo. Franco Angeli, Milano.