MOBBING E MATERNITA’
Sintesi a cura di Erika Porzio, che, per rendere più esaustivo il tema in oggetto, ha utilizzato articoli tratti da diverse fonti. Si riportano anche i link a tutti gli articoli completi
Fonte: “conto corrente online.it” – dicembre 2020 – autrice: Laura M. vedi link
Fonte: “Huffpost” – aprile 2020 – autrice: Elisabetta Gualmini. vedi link
Fonte: “Huffpost” – 13 luglio 2020 vedi link
Fonte: “La legge per tutti” – Novembre 2020. vedi link
La nascita di un figlio è un evento molto delicato nella vita di una donna che la cambierà per sempre. Quando la neo-mamma è anche una lavoratrice si pone l’esigenza di conciliare i tempi di lavoro con quelli familiari. A complicare il tutto si possono presentare, in alcuni casi, dei comportamenti offensivi che avvengono sul luogo di lavoro e che vengono adottati contro le lavoratrici al rientro dalla maternità. Nei confronti di una neo-mamma, la condotta assume dei connotati di gravità ulteriore, ma la legge tutela la lavoratrice che, nel corso del rapporto di lavoro, diventa madre. In questo caso, infatti, la dipendente può accedere a una serie di diritti nei confronti del datore di lavoro, tra cui:
- diritto ad astenersi obbligatoriamente dal lavoro per cinque mesi in prossimità del parto;
- diritto al congedo parentale per altri sei mesi dopo l’astensione obbligatoria;
- permessi per allattamento;
- diritto ad assentarsi dal lavoro in caso di malattia del figlio.
Molti datori di lavoro vedono negativamente il fatto che una loro dipendente diventi madre perché sono consapevoli che dovranno assicurarle tutti i diritti previsti per legge. Per questo, può accadere che l’azienda cambi atteggiamento nei confronti della lavoratrice che rientra dalla maternità. Spesso, purtroppo, il mobbing colpisce proprio questa categoria di donne al fine di indurle alle dimissioni.
Possono far parte di un disegno teso ad allontanare la lavoratrice madre i seguenti comportamenti:
- trasferimento della lavoratrice in una sede lontana;
- negare o fare problemi nel concedere i permessi per allattamento;
- contestazioni disciplinari pretestuose;
- rimproveri e insoddisfazione (immotivati) per il lavoro della dipendente.
Mobbing dopo maternità: cosa rischia il datore di lavoro?
Il datore di lavoro deve tutelare i lavoratori dai rischi per la salute e la sicurezza che possono derivare dal luogo di lavoro. L’obbligo di sicurezza impone al datore di lavoro di verificare che non si creino situazioni ambientali in grado di ledere la salute del lavoratore. Se c’è un fenomeno di mobbing a danno di una lavoratrice rientrata dalla maternità, dunque, il datore di lavoro può essere chiamato a risarcire alla dipendente il danno subìto. Il mobbing, infatti, può determinare un danno biologico nei confronti della lavoratrice poiché tale condotta è in grado di determinare patologie psico-fisiche come: ansia, depressione, attacchi di panico, problemi cardiovascolari, etc. Ne consegue che se il mobbing determina una lesione permanente all’integrità psico-fisica della lavoratrice, questa può agire in giudizio e chiedere il risarcimento del danno al datore di lavoro dimostrando:
- le condotte mobbizzanti subìte;
- il danno biologico subìto;
- il nesso causale tra le condotte denigratorie e il pregiudizio ricevuto.
Di recente, il tribunale di Roma ha condannato un datore di lavoro a risarcire alla lavoratrice, mobbizzata al rientro dalla maternità, un danno non patrimoniale pari ad euro 28.000. Nel caso di specie, infatti, era stato provato che, dopo il rientro in servizio, la neo-mamma fosse stata vittima di una serie di condotte illegittime volte a spingerla a lasciare il posto di lavoro. Avere un capo poco comprensivo, lavorare in un ambiente “tossico” con colleghi prevaricatori potrebbe mettere a repentaglio non soltanto la salute della donna in gravidanza, ma anche quella del feto. Una ricerca, pubblicata sul Journal of Applied Psychology, mostra per la prima volta gli effetti del mobbing durante la “dolce attesa”: lo stress a cui viene sottoposta la futura madre può tradursi in una maggiore predisposizione alla depressione post-partum fino ad arrivare a esporre il piccolo al rischio di una nascita prematura o sottopeso.
“Negli ultimi dieci anni più di 50mila discriminazioni in gravidanza sono state segnalate negli USA alla “United States Equal Employment Opportunity Commission” eppure mancano ricerche che esaminino gli effetti della discriminazione sul benessere delle madri lavoratrici e dei loro bambini.
Kaylee Hackney della Baylor University, Shanna Daniels, Samantha Paustian-Underdahl, e Pamela L. Perrewé della Florida State University, Ashley Mandeville della Florida Gulf Coast University e Asia Eaton della Florida International University in studio hanno seguito 252 donne nel loro periodo di gravidanza al lavoro e nei mesi di rientro dopo il parto e ne hanno analizzato i loro livelli di stress e i sintomi depressivi che mostravano prima e dopo la nascita del piccolo. Sono stati poi presi in considerazione: l’età gestazionale, l’indice di Apgar (rientra tra i controlli effettuati al neonato subito dopo la nascita e serve per capire come il piccolo viva i primi minuti di vita extrauterina e, in caso di necessità, a intervenire prontamente), il peso del neonato e le visite necessarie presso uno specialista. Stando a quanto emerso, l’isolamento, il demansionamento e altri volti della discriminazione portano spesso le madri all’indebolimento fisico e i neonati ad avere problemi alla nascita (sottopeso, nascite premature e visite più frequenti). Secondo una delle autrici dello studio, la dottoressa Kaylee Hackney, i dati sono sorprendenti perché per la prima volta è stato dimostrato quanto la discriminazione abbia un impatto negativo non soltanto sulla salute della donna ma anche del bambino che porta in grembo e questo sottolinea l’importanza di porre rimedio al problema al più presto. Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio nazionale mobbing, solo in Italia «tra il 2013 e il 2015 sono state licenziate o costrette a dimettersi 800 mila donne, di cui 350 mila sono quelle discriminate per via della maternità o per richieste che tendevano ad armonizzare il lavoro con le esigenze familiari». A causa del mobbing post-partum, inoltre, 4 donne su 10 sono state spinte a lasciare il proprio impiego. Riportando a 100 questo campione al 60% , si stima che il 36% siano al Sud e isole, 34% al Nord-Ovest, 30% al Nord-Est.
Da questi studi si evince quanto anche questa forma di mobbing non possa essere trascurata e, anzi, meriti ulteriori approfondimenti